Valtellina, vendemmia ad alta quota

Scritto da Maurizia Ghisoni | settembre 4, 2020 0

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Vi è mai capitato di assistere a una vendemmia di montagna, ma proprio di montagna?

Una di quelle dove i filari corrono come treccioline su piccole terrazze strappate alla roccia e sostenute da muretti a secco? E dove gli uomini fanno su e giù con gerle sulla schiena a mo’ di instancabili formiche?

A noi è capitato in Valtellina, provincia di Sondrio, precisamente sul versante retico, dove i vigneti vengono coltivati sui fianchi delle montagne, richiedendo ai caparbi vignerons un investimento di tempi e di energie stimati 25 volte superiori a quelli dei loro colleghi piemontesi, toscani o friulani.

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Le statistiche parlano di 1200 ore di lavoro manuale annuo per ettaro contro le 50-60 sufficienti altrove.  Un bello sbattimento, vero?

Ma non tutto il male vien per nuocere, ci spiegano i produttori riuniti in uno zelante Consorzio di Tutela, perché è proprio la presenza della roccia viva, che abbraccia i piccoli terrazzamenti, a moltiplicare l’apporto del calore solare, favorendo un eccellente grado di maturazione dei grappoli d’uva.

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Il paesaggio è, naturalmente, di quelli che lasciano senza parole: ordinate geometrie di vigneti sembrano arrampicarsi una sull’altra come giardini pensili e tutti gli anni, a inizi autunno, impegnano i produttori a vendemmie-scalate per raccogliere una pregiata uva nebbiolo, nota qui come chiavennasca, da cui si ricava il re dei vini valtellinesi, lo Sforzato o Sfursat.

Un nettare color del rubino, primo passito rosso secco italiano a fregiarsi, nel 2003, della DOCG (denominazione d’origine protetta e garantita), che ogni azienda ottiene dalle partite migliori di nebbiolo.

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Il nome curioso è dovuto alla cosiddetta forzatura, la fase di appassimento dei grappoli che, subito dopo la vendemmia, vengono posti per circa tre mesi su graticci, in locali asciutti e ventilati chiamati fruttai.

Dopo questo periodo, l’uva perde circa il 40% del suo peso, concentrando il succo e sviluppando particolari sentori aromatici, che la rendono pronta per la pigiatura.

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Seguono quindi venti mesi di invecchiamento e affinamento in botti di legno e in bottiglia, dopodiché questo nettare rosso, corposo e di carattere, con un grado alcoolico minimo 14 %, è pronto per la degustazione: in solitaria, in quanto eccellente vino da meditazione o abbinato a formaggi d’Alpe stagionati e carni saporite.

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 Ma i vigneti di queste belle montagne non producono solo Sforzato; dalle loro uve si ottiene anche il Valtellina Superiore, un rosso austero e vellutato, regolamentato da una DOCG formata da cinque sottozone: Inferno, Sassella, Maroggia, Grumello e Valgella.

Un vino prodotto secondo un Disciplinare rigoroso, che gli enologi definiscono asciutto e giustamente tannico, che richiede un periodo minimo di affinamento di 24 mesi, di cui almeno 12 in botti di rovere. E in particolari annate, con 36 mesi di invecchiamento, è consentita la qualifica Riserva.

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Il Valtellina Superiore è compagno perfetto per arrosti, brasati, selvaggina. Non c’è gourmet che non apprezzi un vellutato Valgella in abbinata a una bresaola profumata o al Violino di Capra. Mentre agli amanti dei pizzoccheri e di altri primi piatti tradizionali è caldamente consigliato un rosso Terrazze Retiche di Sondrio IGT.

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Quelli prodotti in Valtellina non sono naturalmente gli unici vini “montani” della nostra penisola. Si vendemmia su terrazze strappate alla roccia anche in Valle d’Aosta, dove si coltiva il vigneto più alto d’Europa, da cui si ricava il Blanc de Morgex et de La Salle. Alle Cinque Terre (Liguria); sull’isola di Ponza; alle falde dell’Etna, in Sicilia e in altri luoghi di questa nostra sorprendente Italia.

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