Golfo Paradiso (Liguria), un tuffo nel blu

Scritto da Maurizia Ghisoni | luglio 26, 2021 0

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Come dice il nome, è un piccolo eden nella riviera del levante ligure, tra l’area metropolitana di Genova e il promontorio di Portofino.

Un golfo punteggiato da cinque borghi rivieraschi (Camogli, Recco, Bogliasto, Sori e Pieve Ligure). Bagnato da un mare che ha tutte le sfumature del blu. Disegnato da scogliere alte, a tratti aspre, a tratti verdissime. Scandito  da aree marine protette, antiche tonnare, scalinatelle che sfociano in camminate ardite e abbazie millenarie.

Il mezzo migliore per gustare tutto questo bendidio è sicuramente la barca, cosa che non ci facciamo mancare, salendo a bordo di uno dei battelli della Società Golfo Paradiso, in partenza da Recco, borgo marittimo che, negli anni ha saputo ritagliarsi anche la fama di covo gastronomico della Liguria, per via della famosa focaccia IGP e di molto altro.

LA NOSTRA NAVIGAZIONE

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Dall’imbarcadero di Recco, la motonave solca decisa i flutti spumosi. La giornata è bellissima, il vento, il profumo di salsedine non tardano a farsi sentire.. In pochi minuti, raggiungiamo il porticciolo di Camogli, bordato di casine colorate, che schiudono negozi e attività varie, e punteggiato da barchette e da un veliero, che l’acqua culla dolcemente, insieme a un’imbarcazione che propone esperienze di pesca turismo, occasione da non lasciarsi certo sfuggire.

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Ma è proprio il colore degli edifici che colpisce chi approda qui per la prima volta: le diverse tonalità e le loro linee più chiare in orizzontale, chiamate marcapiano, servivano un tempo ai marinai per riconoscere le loro case anche stando al largo, prima di farvi ritorno a fine pesca.

Proseguendo la navigazione, sfiliamo davanti alla cosiddetta Tonnarella, tra Camogli e Punta Chiappa, unica tonnara nel nord Italia e una delle cinque rimaste in tutta la Penisola. Qui non si pescano solo tonni, ma anche svariate specie di passaggio. A gestirla è la Cooperativa Pescatori di Camogli, nota anche per la lavorazione artigianale delle acciughe sotto sale, altra eccellenza gastronomica locale.

Le origini di questa tonnara sono molto antiche, anteriori al 1600, secondo alcuni. E la sua presenza ha sempre rappresentato un’importante fonte di benessere per la popolazione.

Oggi, i pescatori calano la rete in mare ad aprile e la tolgono tra fine agosto e inizi settembre.

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Superata la Tonnarella, ecco Punta Chiappa, una lingua di roccia conglomerata nel Monte di Portofino. Siamo già nell’Area Marina Protetta, dove il mare è profondo, pulitissimo, di un blu straordinario; habitat ideale per saraghi, orate, murene, cernie, pagelli e gorgonie.

Alzando lo sguardo al monte, non passa inosservata la macchia fitta che ne tappezza i fianchi: ulivi, lecci, pini marittimi e d’Aleppo, mirto e corbezzoli.

Il tutto compone una tavolozza sfolgorante!

Oltre che dal mare, Punta Chiappa è raggiungibile anche a piedi, con un sentierino avvinghiato al monte, che parte dalla frazione di San Rocco e tocca il mini borgo di S. Nicolò di Capodimonte, con la chiesetta medievale e la pavimentazione del piazzale fatta di ciottoli di mare.

SAN FRUTTUOSO GIOIELLO MILLENARIO

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Ancora qualche minuto di mare aperto ed ecco la piccola, splendida baia di San Fruttuoso, dominata dal complesso dell’abbazia omonima, ai piedi della quale una spiaggetta ghiaiosa pullula di bagnanti avidi di mare e di sole.

Scendiamo e ci inoltriamo per un sentierino ripido e un po’ dissestato, bordato di macchia mediterranea e immerso nel silenzio.

Grazie ai meticolosi restauri curati dal FAI (Fondo Ambientale Italiano), dopo che gli ultimi proprietari, la famiglia Doria Pamphjlj, gliene fecero dono negli anni 80 del secolo scorso, la millenaria abbazia benedettina di San Fruttuoso è tornata ad essere una testimonianza straordinaria dell’architettura romanico-gotico ligure, come, orgogliosamente, ci dice il direttore. l’architetto Alessandro Capretti.

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Oggi, l’intero complesso, dominato dalla cinquecentesca Torre Doria, è un mirabolante rincorrersi di casette lillipuziane (30 gli attuali residenti), chiostri, cripte, cappelle, la chiesa, ed è incastonato in un contesto ambientale tra i più belli e incontaminati del levante ligure.

A San Fruttuoso si può accedere, oltre che in barca, anche e solo attraverso un paio di sentieri che solcano il monte.

Proprio l’inaccessibilità del luogo e la presenza di una sorgente d’acqua dolce ne fecero, nell’VIII secolo d.C., un sito ideale per la fondazione di una chiesa.

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Secondo la tradizione, fu lo stesso martire Fruttuoso a scegliere la baia, indicandola in sogno a Prospero, vescovo di Tarragona in fuga dalla Spagna invasa dagli Arabi e alla ricerca di un luogo dove portare in salvo le reliquie del santo.

Ricostruita nel X secolo come monastero benedettino, dal Duecento, l’Abbazia intrecciò le sue sorti con quelle della famiglia Doria, che ne modificò l’assetto, costruendo il loggiato a due ordini di trifore e trasferendo qui il proprio sepolcreto, fino a quando, nel 1983, decise di donarla al FAI, che nel 2017 ha potuto riaprirla al pubblico.

Di fronte all’Abbazia, nelle acque dell’Area Marina Protetta, a 17 metri di profondità, si trova anche la statua in bronzo del Cristo degli Abissi, opera dello scultore Guido Galletti: è famosa in tutto il mondo e una copia a grandezza naturale è esposta all’interno della chiesa di San Fruttuoso.

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